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Il progetto interdisciplinare sugli artisti, studiosi e letterati “foresti” giunti in Friuli Venezia Giulia dal XIV al XX secolo ha ricevuto nel 2005 la medaglia d’argento dalla Presidenza della Repubblica Italiana |
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Sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano
Con il patrocinio di:
Parlamento Europeo – Ufficio per l’Italia
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Provincia di Udine, Assessorato alla Cultura
Fondazione CRUP
Università degli Studi di Udine
Club Unesco di Udine
di Sergio Marinelli
L'Ottocento è stato un secolo avventuroso e di grandi cambiamenti, non meno per la Patria del Friuli che per il resto dell'Europa e del mondo. Cambia lo status geografico-politico della regione, non più terra di confine per l'Austria, ancora tale invece, per qualche anno, per il Regno Italico, ancora una volta, lunghissima, all'interno dei domini dell'Austria, dal 1813 al 1866, poi di nuovo terra di confine, dalla parte dell'Italia.
L'identità storico-culturale del territorio fu duramente provata dagli eventi ma si rivelò indubbiamente, più che in altre regioni italiane, salda, resistente, coerente col passato, come si conveniva a una terra di montanari di confine. Quattro secoli di permanenza veneta si erano decantati ormai nella storia e davanti alle armate francesi sono proprio i domini più periferici, da Udine a Cattaro, a mostrare maggiormente, se non resistenza, dignità e coscienza del passato, mentre l'aristocrazia della Dominante cedeva di schianto, in un vero crollo fisiologico. Il 1797, si sa, per la Repubblica veneta è una data discriminante nella discontinuità del tempo, la fine di un'era, dal punto di vista sociale, antropologico, fors'anche artistico.
Lo è forse meno per il Friuli, e non certo perché significa il passaggio da un dominio ad altri domini. Ormai, anche senza dichiarate sanzioni legali, il Friuli del Settecento partecipava a pieno titolo della civiltà veneta. Non è un caso che l'ultimo doge sia un Manin, come è forse emblematico che l'atto sanzionante della fine irreversibile si sia consumato nella terra del Friuli, a Campoformido.
Neppure è un caso che l'unico a raccontare consapevolmente quella fine sia stato Ippolito Nievo, nel suo castello friulano, con Le confessioni di un italiano. Altrove, per i veneti, c'è il muto annichilimento o il tradimento del passato. Anche per gli artisti. Per Canova, che resta a Roma, l'antica patria diventa la tomba di famiglia, il luogo cui affidare, con più certezza, la conservazione della propria memoria. Per Foscolo, in esilio a Londra, la sconfitta, da dimenticare, di un'utopia e di una vita. Per Hayez, che va a Milano, lo spettro della miseria da fuggire.
Il Friuli sembra fisiologicamente più vivo, ma nel relativo impoverimento dell'Italia rispetto al resto d'Europa è comunque, sempre meno che in passato, luogo d'attrazione per commissioni artistiche. Piuttosto sono ancora i friulani come Politi o Grigoletti che scendono a insegnare all'Accademia di Venezia e diventano alfieri di venezianità storica, più decisamente dei precedenti toscani (Sabatelli e Matteini) o bolognesi (Lipparini), colmando un vuoto che ormai, anche nelle arti figurative, si stava facendo fisiologico.
L'aspetto complementare a Udine è fornito da Trieste, che in passato, anche ai primi tempi del porto franco, come centro artistico era anche meno importante delle piccole cittadine dell'Istria veneta, da Parenzo a Capodistria. Nell'Ottocento è Trieste il luogo di attrazione e ricezione degli stranieri, dei finanzieri veneti immigrati come Bottacin e Revoltella, ma soprattutto degli ebrei, degli austriaci, come Massimiliano. Sarà un gruppo di questi spregiudicati finanzieri, capeggiati da Revoltella, a promuovere l'apertura del Canale di Suez, cambiando gli equilibri della storia. Anche il tecnico dell'operazione sarà un “veneto di confine”, il trentino Negrelli.
A Trieste, fin oltre alla metà del secolo, gli artisti sono praticamente tutti “foresti”, immigrati o di passaggio, e prevalentemente veneti. Sarà Trieste a oscurare anche Udine, sotto questo aspetto, nell'Ottocento e apparire, alle soglie del nuovo secolo, un centro assolutamente cosmopolita, con i giovani artisti che vanno tutti a studiare nell'Accademia di Monaco, mentre Klinger soggiorna in città e il Museo Revoltella acquista l'opera di Von Stuck, maestro di quei studenti, alla Biennale veneziana del 1909.
Udine fornisce piuttosto uomini di cultura e artisti alle altre regioni; più che nel passato, nell'eclissi di Venezia, guarda a Milano, dove vanno a studiare i suoi giovani artisti, a Firenze e a Roma, dove soggiornano i suoi nobili intellettuali. Si ferma a prendere coscienza del suo grande passato. Dagli scavi di Aquileia alla catalogazione commissionata a Giambattista Cavalcaselle e conclusa nel 1873 appare la volontà di riconquistare e difendere l'antica cultura.
Gli artisti “foresti” viaggiano poco in Friuli, in genere arriva solo qualche quadro. Per i letterati e gli intellettuali, al contrario, la regione, sia addossata ai confini politici, sia immersa nei domini dell'Impero, resterà sempre una “terra di confine”, da attraversare in viaggio e da raccontare, tenacemente e ostinatamente autonoma, quindi diversa, quindi sempre interessante.
Trieste è invece il porto da cui si parte anche per i nuovi viaggi intercontinentali, lunghissimi, come il Messico senza ritorno di Massimiliano d'Asburgo. Ma anche Enrico di Borbone, conte di Bardi, s'imbarca a Trieste il 16 settembre 1887 per un viaggio di due anni intorno al mondo, soggiornando soprattutto in Giappone, da cui riporterà una delle più consistenti raccolte artistiche dell'epoca, i 30.000 oggetti che ancora in gran parte costituiscono il Museo d'Arte Orientale di Venezia.
Di questi eventi, che travolsero la storia dei secoli precedenti, preservata nella più serena Arcadia del dominio veneto, che tale, almeno dall'arte, oggi indubbiamente ci appare, non lievi cenni, e nuovi riscontri sono negli atti di questo convegno, che in qualche modo continua, nello spirito, la tenace difesa della civiltà e della libertà del Friuli ottocentesco.
Professore Sergio Marinelli
Ordinario di Storia della Critica d’Arte
Dipartimento di Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Università Ca’ Foscari di Venezia |
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