Soprattutto
per il Friuli occidentale, il Cinquecento – secolo
che Pomponio Amalteo attraversò con la sua lunga vita quasi
interamente - fu quanto mai ricco di novità, di rivolgimenti,
di «nuove intraprese» e di «eletti
ingegni»,
che segnarono e illustrarono il territorio: alla storia infatti
fu consegnato come uno fra i momenti più stimolanti, ricchi
e coinvolgenti.
Ed è proprio alla cultura materiale e al vissuto quotidiano
al tempo dell’Amalteo che viene dedicata la ricca esposizione
curata da Maurizio d’Arcano Grattoni, promossa dalla Provincia
di Pordenone-Assessorato alla Cultura con il sostegno della Regione
Autonoma del Friuli Venezia Giulia e della Fondazione CRUP - in
programma a Pordenone dal 17 settembre al 27 novembre 2005, negli
spazi espositivi provinciali. Una finestra che si apre da lontano, su di un panorama ampio e
diversificato, popolato di varia umanità proprio come i
quadri dell’Amalteo, che amava inserire le sue ‘istorie’ e
i suoi personaggi in contesti tratti dal vivere quotidiano.
Un volo d’uccello sulle trasformazioni paesaggistiche ed
urbane, sui mestieri e le arti del tempo, sull’economia,
le credenze e i gusti di “gentilhomeni, artieri et merchatanti”,
animato da preziosi e importanti oggetti sacri (pissidi, croci
astili, ecc.), da mobili, tessuti, cronache d’epoca e statuti,
strumenti e testi musicali, ceramiche, manufatti architettonici
e sculture, carte geografiche e piante dell’epoca, con molti
materiali provenienti da importanti musei e raccolte pubbliche,
ma anche con pezzi inediti rintracciati in collezioni private,
che rappresenteranno una vera novità per gli studiosi e
il vasto pubblico.
E poi, tra i dipinti, alcuni momenti eccezionali, a cominciare
dalle tre opere di Tiziano che saranno in mostra: il famoso “Ritratto
di Eleonora di Gonzaga della Rovere” della Galleria degli
Uffizi di Firenze, il superbo “Ritratto del conte Antonio
di Porcia” membro dell’importante casata friulana,
prestato dalla Pinacoteca di Brera, e il dipinto, recentemente
ritrovato, rientrato in Italia e “restituito” al Maestro,
con il “Ritratto di Giovanni Paolo da Ponte”, di collezione
privata, che si porta appresso una vicenda di straordinario rilievo
sul piano storico-documentario e che, datato 1534, colma una lacuna
sull’attività giovanile del grande maestro.
Ancora: opere di Baschenis, di Pietro
Politio, Girolamo Campagna ed altri contemporanei e, ovviamente, di Pomponio
Amalteo, di cui
vengono esposti un olio su tavola raffigurante la “Vergine
con il bambino” del Museo Civico di Pordenone e un “Compianto
su Cristo morto”, prestato del Museo d’Arte medioevale
e moderna di Padova.
Soprattutto, dell’Amalteo torna in Friuli per l’occasione,
dopo secoli d’assenza, lo spettacolare “Sansone
e Dalila”,
facente parte della quadreria di Olomouc in Repubblica Ceca: opera
tradizionalmente attribuita al Pordenone e solo recentemente restituita
a Pomponio. La mostra, che complessivamente espone circa 200 opere e che in
comitato scientifico affianca a Maurizio d’Arcano Grattoni
importanti studiosi del territorio e dell’opera dell’Amalteo – Giuseppe
Bergamini, Flavio Dell’Agnese, Caterina Furlan, Gilberto
Ganzer e Paolo Goi - è accompagnata da un ricco catalogo
edito da SilvanaEditoriale.
*** L’esposizione prende le mosse dal territorio
- ampiamente raffigurato dall’Amalteo come sfondo nei suoi
dipinti - e dalle trasformazioni registrate proprio in quegli anni.
Tra la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del
secolo successivo, l’aspetto di borghi, castelli e città si
modifica sensibilmente per l’introduzione anche in Friuli
di nuovi modelli urbanistici e delle novità architettoniche
rinascimentali, in gran parte di derivazione veneziana e lombarda. Nella sezione “La città e
le campagne”, la
bella raffigurazione del Pordenonese delineata da Jorg Kölderer,
proveniente dalla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna,
si pone proprio a chiusura di un'epoca: l'anno prima era cessato
il dominio asburgico e in breve la città e il circondario
perderanno quel po' di connotazione oltralpina che ancora sopravviveva. Le tristi vicende accadute fra il primo e il secondo decennio
del Cinquecento – dalle distruzioni e scorrerie, provocate
dell’offensiva della lega antiveneziana di Cambrai, al disastroso
terremoto – porteranno spesso a riedificazioni, rifacimenti
o restauri nel nuovo stile, sulla scorta anche dei grandi trattati
in materia, che proprio allora cominciavano a circolare impressi
a stampa. Cambia dunque la fisionomia dei castelli, come si può riscontrare
nei castelli di Spilimbergo e di Zoppola o in quelli di Valvasone
e di Fratta, documentati in mostra da due dipinti dell’epoca;
cambia la fisionomia di borghi e città.
Anche la campagna subisce modificazioni e così pure i corsi
d'acqua, spesso alterati nei loro tracciati originari sia per ‘carpirne’ la
forza motrice, indispensabile a diverse manifatture, sia per migliorarne
la navigabilità, trattandosi di importanti vie di comunicazione
per il trasporto di uomini, animali e merci. Ma è “La gente” del tempo la vera protagonista
dell’esposizione, quei «gentilhomeni, artieri et merchatanti»,
che hanno determinato le scelte di gusto, economiche ed imprenditoriali
del territorio e dunque quella vita quotidiana che le diverse sezioni
dell’esposizione vogliono evocare.
Nobili, popolani, borghesi, imprenditori, commercianti, uomini
di governo e condottieri: a volte ‘comparse‘ anonime
in questo o quel dipinto, a volte protagonisti di un ritratto o
di documenti e cronache del tempo. Significativa, a questo proposito,
la cronaca di Roberto di Spilimbergo, ove si parla di potenti – Carlo
V, per esempio, in soggiorno a Spilimbergo – e di gente minuta,
come i disperati che nella carestia del 1527 cercavano i nidi di
sorci per carpirne i pochi grani immagazzinati e per catturarne
gli inquilini. Ma sono i dipinti, soprattutto, a far rivivere
i protagonisti del tempo e le loro storie. “
Il ritratto di Giovanni Paolo da Ponte” di Tiziano,
recentemente ritrovato – scrive il curatore della mostra
- è quanto
mai significativo: sul retro della tela compare la scritta «Spilimbergo» e
ci parla dei rapporti fra il raffinato gentilhomo veneziano
e l’antica
casa feudale: la figlia dell’effigiato, Giulia, fu infatti
sposa del coltissimo Adriano di Spilimbergo e il da Ponte soggiornò nel
centro friulano”. Accanto a quello di Da Ponte, il “Ritratto
di una contessa di Porcia”, quello del “conte
di Valvasone con la madre”,
il “Ritratto di Taddea di Maniago Panigai” e
quello di un “gentiluomo di casa Montereale Mantica” ridanno
vita ad alcuni dei signori degli antichi feudi di ascendenza
imperiale o patriarcale, con seggio nel Parlamento della
Patria, o alle nuove
famiglie che - quasi sempre attraverso la mercatura - assurgevano
a posizioni di rilievo per il notevole censo, come i Mantica,
i Popaite e tanti altri. Al “governo” del
territorio la mostra dedica una particolare sezione, in cui risaltano
alcuni pezzi di
particolare pregio, espressione del potere e dei “potenti” del
tempo: medaglie, sigilli, stemmi delle casate parlamentari e, tra
le varie opere esposte, un bellissimo corno dogale con le insegne
dei Barbarigo; mentre nella sezione incentrata sul “lavoro” le
nascenti attività artigiane e l’imprenditoria commerciale
emergono attraverso alcune suggestive testimonianze – un
braciere in rame con coperchio traforato, secchi per acqua, una
bigoncia da vino, un asciugatoio a corda per i fogli di carta,
una pila idraulica a magli multipli, con vasca originale e ricostruzione
dei magli, su disegno medievale. E’ in quest’epoca,
infatti, che vengono sviluppate o nascono alcune importanti attività manifatturiere
per lo più legate all’acqua, grande ricchezza del
territorio. Il Noncello, il Livenza, il Tagliamento, il Meduna
e altri corsi
d'acqua videro la fioritura di ‘bocalari’, cartai,
battirame, battiferro, ‘pannilana’, segherie, cuoiai,
cui si aggiunsero lavoranti della pietra, del legno e altro ancora,
alcuni con spiccate caratterizzazioni professionali come i lapicidi
di Meduno o i produttori di lame di Maniaco.
Fra le manifatture locali, per la documentazione ancora esistente
e in particolare per la ricchezza dei reperti in gran parte restituiti
da fortunate indagini archeologiche, si segnala in particolare
quella della ceramica, che proprio in quest’epoca riuscì ad
esprimersi con caratteristiche peculiari, lasciando una produzione
riconoscibile e ‘firmata’, ampiamente presente in
mostra. Altro tema importante, elemento fondante della
società del
tempo, è la “religiosità”, il sentimento
e la pratica religiosa, che si esternava in primis nelle funzioni
pubbliche. Reliquiari, calici, pissidi, paramenti ancora
ci richiamano riti oggi molto semplificati o del tutto scomparsi,
mentre
le preziose
croci astili ci rimandano alle processioni, momenti socialmente
trasversali così come le ‘paci’, sulle quali
si posavano le labbra del nobile come del plebeo, del ricco
come del povero.
Un fenomeno poi importante legato allo spirito religioso è rappresentato
dalle confraternite, a volte identificate per alcune pratiche
penitenziali attuate dai confratelli, come quelle notissime
dedicate ai Battuti
per l'uso di flagellarsi. Parallelamente vi erano quelle,
più rare,
ove i confratelli erano accomunati dall'appartenere a particolari àmbiti
di mestiere, come, per esempio, le ‘scuole’ pordenonesi
di San Biagio per i lavoranti della lana o di Sant’Alò (Eligio)
per gli artigiani dei metalli, di cui in mostra vi sono gli
Statuti che, almeno dalla metà del XVI secolo, ogni fraglia era obbligata a darsi. Ma la vita quotidiana trovava
la sua vera manifestazione
soprattutto entro le mura domestiche, di cui i dipinti
dell’epoca – pensiamo
alla “Cucina con rami e fantesca” del Baschenis,
danno importante testimonianza visiva.
Nella sezione sulla “dimora” alcuni arredi mostrano
l’evoluzione del gusto e dello stile in un’epoca di
grandi novità: novità che tuttavia in Friuli arrivarono
con un certo ritardo e soltanto nel Seicento vennero pienamente
assimilate data la forte influenza nordica.
L'intaglio piatto, i fondi punzonati, i fitti disegni a
penna – di
questo genere, straordinario, per la qualità, il
magnifico
cassone in collezione privata, proveniente da
San Vito al Tagliamento – ancora
orneranno per molti decenni gli arredi locali, spesso concepiti
con funzione di spalliera, ossia con l'ornato che si distribuisce
all'interno del coperchio, secondo un uso decisamente arcaico.
Importanti,
soprattutto per la cifra sociale che comportavano anche
i complementi d'arredo di cui la mostra dà testimonianza:
recipienti normalmente realizzati in rame decorato e
a volte dorato, come gl'immancabili versatoi e bacili per
le abluzioni cerimoniali
prima del desinare o gli altrettanto comuni ‘rinfrescatoi’ per
tenere bassa la temperatura delle bevande; bellissimi
i tessuti di pregio o in cuoio dorati da distribuire
su panche
e cassoni,
i tessili ‘a capi blavi’, ossia con le caratteristiche
estremità figurate in azzurro. Ma il Friuli d'oltre
Tagliamento, del XVI secolo, si distinse anche nel
settore della “cultura”,
vedendo in alcuni suoi centri fiorire importanti scuole
ove insegnavano nomi prestigiosi
del mondo letterario ed erudito coevo, ricordati qui
attraverso preziosi manoscritti o antichi libri a stampa. “
Solidi letterati come i fratelli Amalteo e i Rorario, nobili castellani
come Jacopo di Porcia e Adriano di Spilimbergo – ricorda
d’Arcano Grattoni - versatili artisti ed eruditi come Pietro
Capretto, anche musicista, e Giuseppe Rosaccio, anche medico e
geografo, personaggi estrosi come Giulio Camillo Delminio e innovativi
come Bernardino Parthenio, creatore a Spilimbergo di un'accademia
ove era impartito l'insegnamento delle lingue latina, greca ed
ebraica” sono soltanto alcuni dei molti nomi che
operarono in quel torno di tempo nel territorio, coagulati
spesso da stimolanti
cenacoli. Infine a chiudere questa avvincente panoramica, ecco la “musica”,
in cui il Friuli occidentale si distinse in modo particolare.
Non è un caso che i due più importanti organi cinquecenteschi
della Regione siano entrambi oltre Tagliamento, a Spilimbergo e
a Valvasone, grandi strumenti dal punto di vista organologico (il
secondo conservato anche con le canne originali) e capolavori d'arte
lignaria nelle casse, e pittorica per quanto riguarda le portelle,
dipinte rispettivamente dal Pordenone e dall’Amalteo. Ma
soprattutto c'è da rilevare la presenza di importanti cappelle
musicali con nomi già all'epoca celebri.
La musica permeava dunque intimamente quella società, costituendo
elemento distintivo di cultura raffinata e appartenenza sociale.
Significativo, a tal proposito, testimoniando di un duplice gusto
per l'arte pittorica e musicale unite, il coperchio probabilmente
di virginale (ora in collezione privata) che il Pordenone abbellì,
dipingendo all’interno la cosiddetta “Famiglia del
Satiro”. Singolare, in questo contesto, appare la documentazione
riferita ai Porcia. Antonio di Porcia – presente in mostra
nel superbo ritratto di Tiziano – aveva acquistato a Venezia,
per l’enorme somma di 80 ducati d’oro, un organo domestico «che
sonava di molti soni et de diversità» mentre in un
inventario della medesima famiglia del 1569 sono elencati un «claucimbano» (clavicembalo), «una
cop[p[ia de cornetti disfornita» e «una altra cop[p]ia
de cornetti storti», lasciando presagire – stante le
difficoltà esecutive insite nel cornetto – la presenza
di musici di non poca maestria stipendiati dall'importante casata.
Pordenone
Spazi espositivi provinciali,
corso Garibaldi, 8
Orari:
da martedì a domenica 10.00-12.30 / 15.30-18.30
(chiuso il lunedì e martedì 1 Novembre) Per informazioni:
tel. 0434231418
www.provincia.pordenone.it
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