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"Col Tuo perdono, io più non curo il peccato,
E, col viatico Tuo, non curo fatica di viaggi;
Se mi farà la Tua Grazia risorgere fra i Luminosi,
Del libro nero del Male non avrò cura nessuna."
Omar Khayyâm
Robâ’iyyât, 180
(XI d.C. – V dell’Egira)
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ITINERARIA AUGURA
BUON NATALE E
FELICE ANNO NUOVO 2007 |
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Un nuovo luminoso
capitolo si apre per la scultura e l’intaglio ligneo
in Friuli con la metà del Quattrocento. Accanto ai foresti,
per tradizione veneti e nordici, fiorisce una schiera di maestri
locali. Tra questi nasce Domenico Mioni, detto da Tolmezzo, “pittore,
architetto e cartografo,” come scrive Paolo Goi, “ma
in primo luogo intagliatore”. Se dal Vivarini egli trasse
le eleganti strutture architettoniche e i preziosi motivi decorativi
tardo gotici, tutta rinascimentale è invece la sua concezione
dello spazio. Costruisce altari brillanti per le intense cromie
e l’oro. Entro le nicchie vi pone figure fatte di grazia,
solide e composte, che continuano a vivere raccolte in sé stesse,
assorte e misteriose, quasi a specchiare quel suo mondo carnico
e friulano che così poco elargiva alla conversazione.
Nel
2007 si celebrano i 500 anni dalla scomparsa di Domenico
da Tolmezzo (1448 – 1507), ma anche i 100 anni
dalla scomparsa di un’altra personalità magistrale
di questa terra, Graziadio Isaia Ascoli (1829 – 1907),
il padre della glottologia italiana a cui va pure il
merito di aver definito in maniera scientifica lo status di lingua autonoma del friulano.
Lo studioso, che sognò una conoscenza
unitaria di tutte le lingue parlate, fu noto
per gli accorati appelli alla concordia religiosa
e al valore dell’istruzione come strumento
di progresso. Credette nella forza dell’emancipazione
e nell’impegno per la tolleranza, una cura
che si riflette anche nei versi dal tono celebrativo
a lui dedicati dall’amico Carlo Baravalle
e pubblicati nel 1886 nell’“Illustrazione
Italiana”:
E a te,
come all’astronomo,
Che trepido e anelo,
Col telescopio e i numeri
Tenta i mister del cielo,
Stelle e comete parlano
Il vario magister.
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In lor parvenze accorrono
Da ogni secolo e lito,
Ed il ladino e il celtico,
E l’arabo e il sanscrito,
E l’errabondo zingaro
Se stessi a confessar. |
In apertura di questo biglietto augurale
abbiamo voluto la quartina di Omar Khayyâm, poiché questo
poeta fu “uno dei maestri che preferirono insegnare”,
come si usa dire in persiano, “con la parola più che
con la penna”. Quella parola e lingua che la metafora
persiana chiama “veli della Parola” e “sposa
del Significato” e come tale fu così cara all’Ascoli
da dedicare un’intera vita a seguirne la trama, risalendo
i fili del tempo fino alle radici della storia, della cultura
e dello spirito dell’uomo, del quale la lingua resta
ancora l’espressione più misteriosa e straordinaria.
Maria Paola Frattolin |
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